Dicono che Bobby Fisher abbia cominciato a viaggiare la vita con accanto gli scacchi. A soli sei anni, impara da autodidatta semplicemente leggendo le istruzioni di una scacchiera.
L’amore per i bei vestiti e le scarpe di lusso fatte su misura, la totale dedizione al gioco, il carattere polemico e l’insofferenza per le sconfitte, questo era – tra le tante altre cose – Bobby Fisher, uno dei migliori giocatori di scacchi di tutti i tempi.
A volte, chiudendo gli occhi, si può viaggiare indietro nel tempo e percepire la tensione nella voce di quelli che lo videro durante l’incontro del secolo a Reykjavik, in Islanda, nel 1972. Ultimo incontro Bobby Fisher contro Boris Spasskij.
All’inizio Fischer si rifiuta di gareggiare nel posto già concordato, e questo fu cambiato; Chiede che durante il match venissero ripetutamente sostituiti i pezzi e la stessa scacchiera, che ai bambini in sala fosse proibito mangiare dolciumi con involucri rumorosi e così fu fatto.
Era chiaro. Fisher non stava combattendo contro l’avversario russo Spasskij. Stava combattendo contro i suoi demoni interiori.
Apre il suo gioco con una mossa inusuale che stupisce il suo avversario: la “Benoni”, meglio conosciuta come “Figlio del dolore”, e tra una moltitudine di partite patte e di scontri mediatici si giunge alla ventunesima e ultima partita.
Ebbe una vittoria inequivocabile su Spasskij, e Fisher divenne campione del mondo di Scacchi. Il match del secolo fu chiamato.
“Gli scacchi somigliano alla pallacanestro: i giocatori si passano la palla finché non trovano un varco, proprio come negli scacchi, proprio come in un attacco che porta al matto.” B. Fischer